Sandra
Avevo tempo di andare un po’ in giro per negozi prima di raggiungere Julián. Ero arrivata al punto di vivere come un piccolo piacere il semplice fatto di poter camminare normalmente senza dovermi adeguare ai passettini di Karin o di Julián - anche se parlavamo sempre seduti, lui ci metteva un secolo a poggiare la tazza sul piattino, a pagare e a mettersi la giacca. Una vera delizia, come andare a passeggio senza sentire il peso di Karin attaccato al mio braccio. M’incamminai lungo la via degli artigiani e degli artisti dove si trovavano cose uniche, scarpe fatte a mano, vestiti molto originali, ceramiche, oggetti di legno e di cuoio.
Camminavo guardando le vetrine, entrando e uscendo a piacimento dai negozi. Quella semplice cosa, che prima di conoscere i norvegesi, prima di Villa Sol, prima di Julián e di quel formicolio nello stomaco che non se ne andava mai facevo senza pensarci o darle importanza, mi dava ora una sensazione di libertà, l’impressione di essere padrona di me stessa. Uno dei negozi che più mi piaceva era quello di vestiti per bambini fatti a mano che vendeva golfini come quello che stavo provando a realizzare io a Villa Sol. Stavo studiando una manica quando, davanti alla vetrina piena di cestini, di delicate lenzuola ricamate, di trapuntine e mille altre cosette per far sì che un bimbo si senta avvolto nella bambagia, vidi passare Frida.
Non era affatto strano che la potessi incrociare da qualsiasi parte, ma vederla fuori dai confini di Villa Sol mi fece trasalire e il formicolio nello stomaco esplose. Nel mondo normale Frida non c’entrava, anche se nessuno in quella strada tranne me se ne rendeva conto. Il mio primo impulso fu di farmi da parte perché non mi vedesse, ma poi mi resi conto che camminava come accecata, senza guardarsi intorno. Probabilmente anche lei pensava che io non esistessi al di fuori di Villa Sol o fuori dal controllo dei due vecchi, credeva di poter abbassare la guardia. Lasciai il golfino sull’espositore e uscii. Ero quasi sicura che non si sarebbe girata. Faceva freddo e aveva un maglione rosso e un gilet imbottito blu, una minigonna, stivali scamosciati e si era raccolta i capelli in una treccia.
Entrò al Transilvania, una bottega di oggettistica, e ne uscì con un sacchetto grande. Per una volta nella vita non aveva una faccia da assassina. Sembrava quasi una ragazza normale, con un’espressione trasognata nello sguardo. Continuava a non dare importanza a quel che le accadeva intorno, e io seguivo abbastanza tranquillamente i suoi polpacci forti che spuntavano dagli stivali mentre continuava a camminare. Speravo solo che non prendesse la bicicletta, perché io avevo parcheggiato il motorino un bel po’ in là. Si diresse verso il quartiere dei pescatori con passo sempre più rapido. Ovunque stesse andando, era in ritardo o era ansiosa di arrivare. E anche se a tratti facevo fatica a respirare, non volevo perderla di vista. L’istinto mi aveva messo sui suoi passi e l’istinto mi obbligava a scoprire quale fosse la sua meta. Avrei potuto continuare a guardare i vestitini per il bambino e a sentirmi libera, ma la voglia di sapere cosa stava facendo Frida era più forte di quella libertà.
Si fermò davanti a una taverna per specchiarsi nel vetro della porta. Si passò una mano sulla treccia ed entrò. Sul vetro c’era disegnato un polipo e non si vedeva bene; così girai l’angolo e, come speravo, trovai una grossa finestra dalla quale si riuscivano a scorgere Frida di spalle e l’Anguilla di fronte. L’Anguilla! Lei parlava e lui la guardava. Frida tirò fuori quello che teneva nel sacchetto. Era una giacca di pelle molto bella. Lui la prese e senza quasi guardarla gliela restituì. Lei gli afferrò la mano e lui, dolcemente, senza essere brusco, la scostò. Parlavano, lui appoggiato allo schienale della sedia, passandosi ogni tanto una mano fra i capelli, lei con le spalle e la testa in avanti, protesa verso di lui. Io ero quasi nascosta da una macchina e non avevo intenzione di muovermi finché quella scena non si fosse conclusa. Come potevo fidarmi di qualcuno che si vedeva da solo con Frida? Dopo mezz’ora Alberto pagò e si alzarono. Frida gli diede il sacchetto e lui all’inizio non lo prese, tanto che si era infilato le mani in tasca pur di non farlo, ma lei insistette, lo supplicava con tutto il corpo di non umiliarla, e lui non poté far altro che accettare. La situazione aveva messo tanta tensione addosso anche a me che fui felice che avesse preso il sacchetto e che quella storia fosse finita una volta per tutte. Non mi sembrò prudente seguirli, sicuramente se ne sarebbero andati ciascuno per la propria strada. Così tornai a prendere il motorino.
Salii al Faro più in fretta che potevo e aspettai Julián dieci minuti. Pensai che magari se ne era già andato, ma visto che non c’era nessun messaggio sotto la pietra forse non era potuto venire. Stavo quasi per chiederlo alla cameriera ma fortunatamente cambiai idea: non avrebbe fatto che richiamare ancora di più l’attenzione su di noi, senza contare che tutto ciò che avrebbe potuto dirmi era che Julián se ne era andato.